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Non ci resta che umanizzare

Perché un brand dovrebbe avere delle caratteristiche umane? Per capirlo, bisogna fare un piccolo passo indietro, per capire cosa ci rende umani.

Le nostre imperfezioni fisiche, prendere decisioni facendoci guidare dalle emozioni, commettere errori e saper distinguere il bene dal male, essere in grado di proiettarci nel futuro e tenere fede a promesse e progetti, godere della compagnia degli altri e impegnarci in qualcosa di utile per la nostra società.

La lista potrebbe andare avanti per ore, ma il punto è semplice e richiede molte meno parole: in quanto umani (e quindi imperfetti), sentiamo il bisogno di comunicare ed interagire con i nostri simili, con altri umani che abbiano una storia alle spalle, dei pregi e dei difetti, delle aspettative e dei sogni.

Questa ricerca di empatia è alla base dell’umanizzazione dei brand che sta trasformando i più grandi marchi del mondo in amici, vicini di casa e perfino confidenti intimi.

Leggendo “Marketing 4.0” di Philip Kotler mi sono soffermato sul capitolo dedicato a questo argomento, sottolineando e prendendo appunti a margine. Il guru del marketing identifica 6 caratteristiche che un brand deve sviluppare, per poter essere considerato un “brand umano”. Potrebbe sembrare un tema scontato o perfino retorico, ma questa umanità oggi serve a tutti, alle aziende prima ancora che ai loro clienti.

Fisicità

I brand, proprio come persone, hanno delle caratteristiche fisiche ben definite. Quello che per gli essere umani sono il colore degli occhi e dei capelli, l’altezza e il peso, nel linguaggio del marchio si traduce in visual identity.

Questa identità visiva per un brand è composta da elementi come il logo, una palette di colori, un carattere tipografico ed altri componenti di design. In sintesi, la “fisicità” di un marchio è quell’insieme di fattori che lo rendono concreto e immediatamente riconoscibile agli occhi dei consumatori.

Tutti ricordiamo il baffo della Nike, il colore verde di Spotify, il simpatico signore con i baffi della Birra Moretti o la disposizione di un negozio H&M.

Intelletto

L’intelletto è la capacità di una persona (e quindi di un brand umano) di dare alla luce delle idee innovative e funzionali, in modo da superare ostacoli e affrontare delle criticità.

Le aziende veramente innovative sono in grado di trovare nuove soluzioni a vecchi problemi, spesso ricorrendo al supporto delle moderne tecnologie. Un esempio è Amazon, che attraverso i “locker” e le consegne coi droni, sta superando il classico problema dell’irreperibilità dei destinatari.

Socialità

Se è vero che “l’uomo è un animale sociale”, anche i brand che mirano ad umanizzarsi hanno bisogno di entrare in relazione con le persone. Creare un dialogo con il proprio pubblico non significa solo scambiare qualche tweet o stimolare interazione attraverso qualche sticker di Instagram.

Un grande esempio di brand che entra in relazione col proprio pubblico è Netflix. La società statunitense è molto sensibile alle critiche e ai pareri dei propri clienti, tanto da creare Bandersnatch, un episodio di Black Mirror in cui è l’utente a decidere l’evoluzione della storia.

Emotività

Ciò che più guida le scelte di un essere umano sono le sue emozioni. Di conseguenza, ciò che distingue un brand umano da tutti gli altri è la capacità di evocare queste emozioni. La gioia, la malinconia, la paura, l’umorismo…attraverso lo storytelling un brand può affrontare le emozioni più viscerali dell’uomo per creare una connessione.

Un esempio è la recente campagna di Wind, chiamata “Più Vicini”. Attraverso i suoi spot, il gestore telefonico tocca le corde del nostro animo che hanno a che fare con amicizia, amore, rimorso e impianto.

Affabilità

Essere umani significa anche avere dei difetti, e riuscire ad ammetterlo è una gigantesca sfida sia per noi che per i brand. Ma una persona (e un brand umano) che sia capace di riconoscere le proprie imperfezioni è una persona (o brand umano) più credibile e in grado di ispirare fiducia.

Un curioso esempio è quello della casa editrice Einaudi: prima sbaglia la copertina di un libro di Fante, poi fa mea culpa, infine ci scherza su con umorismo (nel frattempo la stampa con la copertina sbagliata va a ruba, come oggetto da collezione!).

Ecco l’errore e la soluzione di Einaudi.

Moralità

Ultima, ma non meno importante, la moralità: la capacità di una persona (o un brand umano) di possedere un’etica e di impegnarsi attivamente nella salvaguardia dei propri valori.

Negli ultimi anni il “corporate activism” prende piede tra le imprese più o meno grandi, in virtù della crescente sensibilità dei consumatori nei confronti dell’impegno dei brand sull’ecosostenibilità e l’attivismo sociale.

Ikea promette di essere totalmente eco-sostenibile entro pochi anni, H&M lancia una linea di capi d’abbigliamento eco-friendly e Gilette dichiara guerra alla mascolinità sessista del passato.

In conclusione, citando Kotler:

“il processo (di umanizzazione del brand) consiste nel portare in luce le ansie e i desideri latenti dei consumatori attraverso l’ascolto sociale, la netnografia e la ricerca empatica”.

Questo processo porterà ad un risultato win-win per brand e consumatori. I brand diventeranno portatori di emozioni e valori sani, nonché attivisti sociali e promotori di politiche eco-sostenibili. I consumatori potranno abbracciare la filosofia del brand, sentirsi parte di un gruppo mosso da scopi nobili e continuare ad acquistare in maniera più consapevole.

In copertina l’artwork di Anita Molnar

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