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Piccola Guida alla Semplicità

Piccola Guida alla Semplicità 

Cominciare a scrivere riguardo alla semplicità può essere un lavoro davvero complesso. Catturare il senso di un argomento così sfaccettato è un’impresa che può farti cadere nell’estrema esemplificazione, oppure sprofondare in un inutile groviglio di concetti (sarebbe il colmo, no?).

Allora comincerei col mettere le cose in fila, come a scuola si affronta un argomento del tutto inedito. Ci si avvicina attraverso una definizione, lo si aggira esaminandolo da diverse angolature e lo si imprime con una citazione colta e lapidaria.

Procediamo con la “santa trinità” dell’apprendimento quindi: definizione, descrizione e citazione.

Una definizione di Semplicità

La Semplicità (d’ora in avanti con la S maiuscola, come si addice ai nobili argomenti), è definita così dai grandi prontuari italiani:

  • il Corriere della Sera definisce la Semplicità come “naturalezza, spontaneità, sobrietà” e poi come “chiarezza, concisione nell’espressione scritta e orale”
  • La Repubblica parla della Semplicità come della “mancanza di complessità, di difficoltà” e anche qui si torna sulla “schiettezza, naturalezza, sincerità”
  • Wikipedia osa e azzarda una definizione più precisa, per la quale il termine Semplicità “è riferibile a qualcosa che è fisicamente costituita da uno o da un numero minimo di elementi essenziali tali da renderla facilmente comprensibile nella sua struttura e agevolmente riproducibile.”

Insomma la Semplicità sarebbe qualcosa che ha a che fare col naturale e lo spontaneo, un ‘entità onesta ed essenziale, facile da digerire e alla portata di tutti. A parlarne così, sembra quasi che la Semplicità sia la cosa più democratica del mondo. E forse lo è.

C’è chi è addirittura arrivato ad innalzare la Semplicità a sinonimo di verità, o quantomeno a proporre la prima come mezzo infallibile per arrivare alla seconda. Il filosofo francescano Guglielmo di Ockham nel XIV secolo postulò: “a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”.

Citazioni sulla Semplicità

Il riferimento alla democrazia della Semplicità deriva dalla sua trasversalità: ogni aspetto della nostra vita può essere (o non essere) semplice, ogni gesto e ogni atto creativo ha l’opportunità – se non il potere – di rispettare le regole della semplificazione.

Ecco perché ho scelto una manciata di citazioni, ciascuna pensata come ispirazione e invito a migliorare le capacità semplificative, a prescindere dall’ambito d’azione, status o ruolo.

La Semplicità per chi si perde nei dettagli:
La nostra vita è trascinata via dai dettagli… Semplificare, semplificare.”  (Henry David Thoreau)

La Semplicità per gli innovatori:
Questo è uno dei miei mantra: concentrazione e semplicità. Il semplice può essere più forte del complesso. Devi lavorare duro per pulire il tuo pensiero e renderlo semplice. Ma alla fine ne vale la pena perché una volta ottenuto ciò, puoi spostare le montagne.” (Steve Jobs)

La Semplicità per gli scrittori:
Un giorno troverò le parole giuste, e saranno semplici.” (Jack Kerouac)

La Semplicità per gli insegnanti:
Se non riesci a spiegarlo a un bambino di 6 anni, non l’hai capito nemmeno tu.” (Albert Einstein)

La Semplicità per chi cerca la verità:
Niente è vero, tranne ciò che è semplice.” (Johann Wolfgang von Goethe)

La Semplicità per gli istrionici:
Che fine ha fatto la semplicità? Sembriamo tutti messi su un palcoscenico, e ci sentiamo tutti in dovere di dare spettacolo.” (Charles Bukowski)

La Semplicità per i creativi:
La perfezione si ottiene non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere.” (Antoine de Saint-Exupéry)

La Semplicità per gli amanti del paradosso, con un pizzico di ironia:
La semplicità non è una cosa semplice.” (Charlie Chaplin)

La Semplicità per i designer:
La semplicità è sottrarre ciò che è ovvio ed aggiungere ciò che è significativo.” (John Maeda)

Maeda e “Le leggi della Semplicità”

L’ultima citazione, di John Maeda, è un pretesto per parlare de “Le Leggi della semplicità”, libro pubblicato proprio dall’autore statunitense nel 2006. Un piccolo manuale teorico/pratico sull’importanza di semplificare i processi del design e su come riuscirci.

John Maeda è laureato presso l’illustre Massachusetts Institute of Technology, è riconosciuto come uno dei creativi più influenti degli ultimi decenni e fa parte – tra le altre cose – di Automattic, l’azienda che ha realizzato WordPress.

Le leggi della Semplicità è un trattato di circa 100 pagine, frutto di anni di ricerche ed esperienza nel campo del design, in cui Maeda colpisce dritto al cuore della complessità digitale e tecnologica del nostro secolo, invitandoci ad abbracciare una concezione “più significativa” della nostra vita creativa.

Ecco, in breve, le dieci leggi:

  1. Riduci. Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata.
  2. Organizza. L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi.
  3. Tempo. I risparmi di tempo somigliano alla semplicità.
  4. Impara. La conoscenza rende tutto più semplice.
  5. Differenze. La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra.
  6. Contesto. Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.
  7. Emozione. Meglio emozioni in più, piuttosto che in meno.
  8. Fiducia. Noi crediamo nella semplicità.
  9. Fallimento. Ci sono cose che non è possibile semplificare.
  10. L’unica. Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.

John Maeda continua ancora oggi a farsi promotore di un design più semplice ed etico, attraverso il suo sito e una serie di illuminanti discorsi al pubblico.

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Perché l’Umiltà Migliora la Professionalità?

Perché l’Umiltà Migliora la Professionalità?

La lingua italiana è meravigliosa, sia per la “cantabilità” delle sue parole che per la complessità di alcuni suoi aspetti.

Esistono infatti alcune parole o concetti che richiedono uno sforzo cognitivo davvero notevole per essere pronunciati.

Se penso alle cose più difficili che si possano dire nella lingua italiana, mi vengono subito in mente queste tre:

  • 1. Acido desossiribonucleico
  • 2. Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa
  • 3. Non lo so

Mentre i primi due punti sono degli scioglilingua, che mettono a dura prova le nostre capacità linguistiche e di dizione, il terzo punto è di una complessità totalmente astratta, che ha a che fare con la testa più che con la lingua.

L’incapacità nell’ammettere di non sapere è un limite dell’uomo – di radici antichissime – che Socrate acquisì solo negli ultimi momenti della sua esistenza.

Ma perché la dotta ignoranza, ovvero ammettere di non sapere, può aiutare in maniera diretta la professionalità?

Se non chiedi, non sai

Una persona – e quindi un professionista – che crede di sapere tutto ciò che c’è da sapere nel proprio campo, è una persona che difficilmente fa e si fa domande.

Fare una domanda vuol dire prima di tutto ammettere una lacuna nelle proprie conoscenze, condizione necessaria per fare nuove acquisizioni.

Ma le domande, allo stesso modo, sono il più importante strumento di sviluppo e miglioramento che abbiamo a disposizione.

Chiedere un’opinione è come aprire una finestra su una stanza, chiusa e buia, e lasciar entrare una boccata d’aria fresca e un raggio di sole.

Un piccolo atto di umiltà può così illuminarci un mondo sconosciuto fino a poco prima, fornirci un nuovo punto di vista su un vecchio problema.

Una tempesta di (nuove) idee

Essere convinti di avere la verità in tasca toglie spazio: è asfissiante per le idee di chi ti circonda, letale per la reciproca ispirazione e anestetizzante per la creatività del gruppo.

Il contrario dell’umiltà è l’autarchia: pensare di essere in grado di risolvere ogni problema per conto proprio, di avere nel proprio giardino tutti gli ingredienti per la ricetta perfetta.

L’umiltà di chiedere e di fare domande è un lubrificante per le idee, mette in circolo la conoscenza e valorizza l’eterogeneità di pensiero.

Lo sanno bene le aziende che fondano il loro processo creativo e decisionale sulla tecnica del brainstorming. Proposto per la prima volta nel 1957 da Alex Osborn, il brainstorming è un metodo che si basa sul presupposto che idea chiami idea e che, per una questione di probabilità, 5 persone che “producono” idee hanno più possibilità di trovare quella giusta.

 “Spesso le idee si accendono l’una con l’altra, come scintille elettriche.” 
Friedrich Engels

Al di là della statistica, stare seduti ad una democratica tavola rotonda fa bene allo spirito di gruppo e alle individualità, che si sentono considerate nel momento di prendere decisioni (soprattutto se questo riguardano il proprio lavoro).

Certo, non si può ricorrere al brainstorming per ogni singola decisione, ma quando si decide di farlo sarebbe bene rispettare alcune semplici regole:

  • tutte le opinioni hanno lo stesso peso, a prescindere dal ruolo
  • in un primo momento, non si scarta nessuna idea
  • non si giudicano le idee
  • bisogna esprimere la propria idea subito, di getto, prima che venga strozzata dalle inibizioni e dalle incertezze
  • in un secondo momento, si analizzano e filtrano le idee

Siamo realisti, esigiamo l’impossibile

Se dopo una vita dedicata alla conoscenza, Socrate ammise di non sapere, come possiamo noi anche solo pensare di possedere una comprensione totale di un argomento?

Produciamo e consumiamo così tante informazioni e novità che è impossibile ritenere di averne una cognizione completa e sempre aggiornata, anche se vi dedicassimo tutta la nostra giornata.

È molto più sensato e verosimile, ammettere che pur conoscendo bene un argomento, non siamo in grado di possedere tutta la comprensione a riguardo. Questo può succedere se siamo disposti al dialogo, magari con chi ne sa più di noi o con chi la pensa semplicemente in maniera differente.

 

 

Basterebbe, di tanto in tanto, aprire un’enciclopedia a caso per capire quant’è piccolo il nostro bagaglio di conoscenze rispetto alla stiva dello scibile umano.


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Il Valzer tra Musica e Creatività

Il Valzer tra Musica e Creatività

Chiunque si sia trovato a dover creare qualcosa, che fosse un testo, una presentazione o un progetto, avrà sicuramente capito che la creatività ha bisogno di un rito.

Ogni artista passato alla storia, ogni scrittore di successo ha le sue – più o meno sofisticate – abitudini, necessarie a favorire il processo creativo.

Il regista e sceneggiatore americano Woody Allen, una macchina creativa da più di 50 film, ha l’abitudine di cambiare stanza o luogo quando è in crisi creativa. Gli è sufficiente spostare la sua attenzione da un’attività ad un’altra qualsiasi, per poter creare la scintilla dell’inventiva.

Philip Roth, autore di Pastorale Americana, non comincia a scrivere se non dopo una sostanziosa colazione e della sana attività fisica. Un po’ più singolare l’abitudine di James Joyce: per favorire la vena produttiva, lo scrittore irlandese era solito scrivere sdraiato sul letto a pancia in giù.

Un altro elemento spesso presente nelle abitudini dei processi creativi – soprattutto di chi fa della parola un’arte – è la musica.

Musica classica, musica etnica, rock, jazz blues…

Non importa il genere, che sia moderna o meno, che sia strumentale o cantata. La musica, più di ogni altra cosa, è un ottimo alleato che accoglie e stimola le idee, la creatività e il genio.

 

Credits @wakeup-world.com

 

Il valzer di note e parole

Lo scrittore giapponese Haruki Murakami, famoso per opere come Norwegian Wood e L’uccello che girava le viti del mondo, ha un rapporto molto particolare con la musica.

Titolare per alcuni anni di un jazz bar a Tokyo e possessore di migliaia dischi, Murakami impregna i suoi libri di musica ad ogni capitolo, citandola addirittura 91 volte nel suo Kafka sulla spiaggia.

Su Spotify è stata pubblicata anche una playlist, con più di 3000 brani che fanno parte della sua collezione personale e che accompagnano in sottofondo ogni battuta della sua scrittura.

Nel nostro paese, a vivere e alimentare un rapporto di reciproca ispirazione tra note e parole, è lo scrittore torinese Alessandro Baricco. L’autore di Castelli di Rabbia e Seta, ha perfino dedicato alla musica – e ad uno dei suoi più grandi maestri – il suo primo film da regista.

È del 2008 il film Lezione 21, scritto e diretto da Baricco, incentrato sulla Nona Sinfonia di Beethoven e sulla sua tumultuosa nascita.

Gli effetti della musica sul cervello

Di studi e trattati sugli effetti della musica sul nostro cervello, ce ne sono stati moltissimi.

In Canada è nato il BRAMS, International Laboratory for Brain, Music and Sound Research, che si occupa appunto di analizzare il modo in cui ritmo, armonia e melodia vengono percepiti dal nostro cervello e in che modo favoriscano alcune delle sue attività.

La musica è l’ingrediente che più di tutti smuove: smuove i corpi, il cervello e di conseguenza anche le idee.

 

Credits @simplymuzo.com

 

Il mio metodo

Nella creazione di un testo esistono diversi processi, ognuno dei quali è più o meno propenso a farsi stimolare e accompagnare dalla musica.

Quando scrivo un testo, divido il mio “viaggio creativo” in 4 tappe principali:

  • raccolta di informazioni sull’argomento
  • prima stesura “istintiva”
  • aggiustamenti e eliminazione del superfluo
  • controllo e correzione

La prima fase, la raccolta di informazioni sull’argomento, non richiede un grande sforzo cognitivo, ma tanto tempo e oculatezza nella scelta delle fonti.

Un lavoro quasi meccanico, che si lascia affiancare bene da una musica di sottofondo ritmata e cantata, magari rock, jazz o soul.

La seconda fase è più impulsiva e ritmica, quindi ho bisogno di un accompagnamento musicale che si faccia un po’ da parte per far fluire le idee senza ostacoli o troppe distrazioni.

Questo è il momento migliore per dei brani strumentali o dalle sonorità ambient, come quelle del gruppo islandese Sigur Ros. In questo step del processo creativo, anche la musica classica mi è d’aiuto, in particolar modo le opere di Bach e Beethoven.

La terza fase è la più delicata e in quanto tale richiede maggior concentrazione. In questo caso entra in gioco il suono più potente di tutti: il silenzio.

D’accordo, siamo soliti considerare il silenzio più che altro come assenza di suono e quindi di musica! Ma non era di questa idea il compositore John Cage, che nella sua famosa 4’33” riuscì a sottolineare come anche il silenzio potesse essere in realtà una forma di musica.

Il silenzio mi permette di far “posare” le idee e di isolarle da tutto il resto. Il taglio delle parti superflue di un testo non può che avvenire in parallelo all’esclusione degli stimoli sonori.

Torno poi alla musica con la 4 e ultima fase del processo creativo: il controllo del testo e le rifiniture. Eseguo questo step particolarmente tecnico facendomi ispirare nuovamente da qualcosa di ritmico, magari brani Reggae e Pop in acustico.

 

 

“L’inesprimibile profondità della musica, così semplice da comprendere e allo stesso tempo inspiegabile, è dovuta al fatto che essa riproduce tutte le emozioni più intime del nostro essere, ma in maniera completamente estranea alla nostra realtà e alla sua sofferenza… La musica esprime solo la quintessenza della vita e i suoi avvenimenti, mai gli avvenimenti stessi”
Oliver Sacks – Musicophilia

 

Questo è il mio metodo creativo e il suo contorno musicale.

Certo, per seguirlo alla lettera c’è bisogno delle giuste condizioni “ambientali”. Se si lavora in un open space o in un luogo pubblico, probabilmente si presenterà la necessità di una musica che prima di tutto copra i rumori estranei e indesiderati.

Ma questa, è tutta un’altra musica.

Alcune delle canzoni che mi hanno aiutato a scrivere questo post:

  • 1° fase: Karma Police – Radiohead / This Must Be The Place – Talking Heads
  • 2° fase: God Bless the Child – Sonny Rollins / Olsen Olsen – Sigur Ros
  • 3° fase: –
  • 4° fase: Keep Going – The Revivalists / With My Own Two Hands – Ben Harper

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picasso guernica daniele signoriello copywriter
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Di cosa parliamo quando parliamo di creatività

picasso guernica daniele signoriello copywriter

Quando sento definire una persona o un’idea creativa, mi viene la pelle d’oca.

Ciò che mi fa rabbrividire è la leggerezza con la quale troppo spesso si dà a questo concetto una parvenza di esclusività: la creatività vista come un lusso per pochi eletti, fortunati e senz’altro invidiabili.

Decantata, amata, invidiata e sottovalutata. La creatività è un dono del destino oppure una competenza che si apprende?

Ma davvero la capacità di creare o pensare nuove cose e nuove idee è facoltà esclusiva di artisti, intellettuali e grandi pensatori?

La creatività quotidiana

Personalmente, ho sempre visto la creatività non come un talento ricevuto in dono alla nascita, né tanto meno una competenza che si acquisisce con lo studio o tramite un preciso corso universitario. Certo, la si può affinare e soprattutto allenare, ma non imparare sui banchi di scuola come con la geografia o la storia.

Più plausibilmente, la creatività è un’ attitudine, una modalità di pensiero, un tipo di approccio alla vita in tutti i suoi aspetti.

Non è forse creativo il giovane innamorato che si ingegna, pur non essendo scrittore di professione, per creare una lettera d’amore alla sua bella?

Non è forse creativo l’imprenditore che, pur non facendo della creatività il suo pane quotidiano, se ne serve per dare vita e sussistenza alla sua impresa?

Vecchi ingredienti, nuove ricette

Cos’è, dunque, questa chimera che tanti professano, ostentano e inseguono?

Sintetizzando il pensiero del matematico, fisico e filosofo naturale francese Henri Poincaré, potremmo dire che la creatività è il processo con il quale si uniscono elementi già esistenti attraverso collegamenti del tutto nuovi.

La creatività, quindi, non ha a che fare tanto con la creazione di qualcosa (nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, no?), ma piuttosto con la capacità di trovare inediti punti di vista su qualcosa che è già stato inventato, nuove ricette per impastare vecchi ingredienti.

La creatività è la capacità di trovare inediti punti di vista su qualcosa che è già stato inventato, nuove ricette per impastare vecchi ingredienti.

creatività daniele signoriello copywriter

Le condizioni per la creatività si devono intrecciare: bisogna concentrarsi. Accettare conflitti e tensioni. Rinascere ogni giorno. Provare un senso di sé – Eric Fromm

Respira e lasciati ispirare

Mi è capitato più volte di sentire o leggere, all’interno di un contesto informatico, la frase “reinventare la ruota”. Ciò ha a che fare con l’inutilità, per i progettisti, di scervellarsi per creare qualcosa daccapo, quando qualcun altro l’ha precedentemente fatto.

Cosa c’entra questo con la creatività? I Rolling Stones, idoli di più generazioni che hanno rivoluzionato il rock, non hanno preso in prestito (o tratto ispirazione) dal blues di Muddy Waters e Robert Johnson?

Quentin Tarantino, tra i registi più apprezzati del nostro tempo, non ha forse attinto a piene mani nel repertorio cinematografico di grandi maestri come Sergio Leone o Jean-Pierre Melville?

In realtà, le potenzialità creative di un individuo sono strettamente legate alla sua capacità di lasciarsi influenzare dagli stimoli che lo circondano. Se prendessimo una persona e la lasciassimo vivere in una stanza vuota, senza libri, film o musica, sarebbe in grado di produrre qualcosa di bello?

“I buoni artisti copiano, i grandi rubano”
Pablo Picasso

Copia consapevolmente

D’accordo, questo non vuol dire che per essere creativi basti farsi bombardare passivamente dai prodotti della creatività altrui. Tanto meno la copia selvaggia (o meglio il plagio) del lavoro di qualcun altro può portare ad un risultato, se non ad una brutta figura o ad una denuncia di furto di proprietà intellettuale.

La creatività non è un processo meccanico, non la si impara a tavolino, come già detto.

Vedo la creatività come un grande frullatore: si prendono delle informazioni e degli stimoli, si aggiungono delle influenze e delle ispirazioni, un pizzico (si fa per dire) di concentrazione e tanta perseveranza.

Vi si aggiunge la competenza tecnica di un determinato campo: puoi essere creativo quanto vuoi, ma se non hai studiato architettura non sarai mai un Renzo Piano!

L’ingrediente segreto? L’insight, l’intuizione, la visione. La polvere magica che amalgama tutti gli ingredienti e crea il nuovo collegamento.

Si lascia sedimentare il tutto per un po’, magari lontano da ulteriori sovraccarichi di informazioni o stimoli. Questo è il motivo per il quale tanti artisti vivono dei periodi di isolamento. Alcuni altri, sono capaci di isolarsi, o meglio alienarsi, per cullare una propria idea anche in mezzo al caos.

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