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F.O.M.O. : quanto è verde l’erba del vicino?

Con l’acronimo F.O.M.O. (Fear of Missing Out) si fa riferimento a una sensazione di ansia legata al timore di perdersi qualcosa di bello e importante.

La felicità è altrove e noi ce la stiamo perdendo.

Nell’era dei Social Media, questa paura diventa sempre più ordinaria e diffusa, a causa delle sbirciatine che queste piattaforme ci offrono sulla vita degli altri.

Fino a qualche anno fa, avremmo parlato di stalking o voyuerismo: un soggetto (lo spione-stalker) che di nascosto scruta una o più ignare vittime (gli spiati). Con Facebook et similia, non solo le vittime hanno perso la loro inconsapevolezza, ma sono diventate esse stesse animatrici e promotrici della sbirciatina, fornendo allo spione-stalker materiale sempre fresco e di qualità.

Le vite degli altri

Le foto delle vacanze, della romantica cena e della coppia affiatata, tutto viene pubblicato amplificandone oltremodo la qualità, come un qualsiasi brand che faccia comunicazione per il suo prodotto di punta.

I difetti scompaiono, le giornate sono sempre avvincenti e le vacanze sempre memorabili.  Gli attori sono sempre vestiti per la festa, circondati sempre di bella gente e frequentano sempre e solo i posti giusti.

Così, da qualche parte al di là della retina dello smartphone c’è qualcuno che, in preda alla F.O.M.O., matura la percezione che la vita altrui sia perfetta e che abbia un qualcosa in più.

La vita virtuale viene venduta agli altri, mostrata attraverso uno speciale “filtro magnificante”, che distorce la realtà e che rende la famosa erba del vicino più verde di quanto non sia.

La F.O.M.O., in effetti, affonda le sue radici su una percezione del tutto sbagliata e alterata: la rappresentazione digitale della vita degli altri è onesta e veritiera, gli altri sono sempre più felici di noi, fanno sempre più cose di noi, hanno una vita migliore.

Cosa facciamo per allentare lo stress della F.O.M.O.? Giochiamo allo stesso gioco!

Curiamo la nostra brand identity per far in modo che sia altrettanto cool, andando a fomentare il disagio di qualcun altro. Che a sua volta farà la stessa cosa, formando un ciclo infinito di F.O.M.O.

Stiamo partecipando alla propagazione di un virus percettivo.


Compulsione anti-noia

Deloitte, attraverso la Global Mobile Consumer Survey , ha calcolato che mediamente controlliamo il nostro smartphone 46 volte al giorno. Il 4% delle persone arriva fino a 200 volte.

Un comportamento compulsivo che sorge ogni qual volta ci sentiamo annoiati o vogliamo fuggire un pensiero che non ci conforta, immergendoci nella meravigliosa “vita altrove” di qualcun altro.

Il problema è che, avendo costantemente la spinta attaccata al nostro amato dispositivo, rischiamo di affaticare il nostro cervello oltremodo e di non lasciargli un attimo di riposo, magari nell’attesa che il semaforo diventi verde o che arrivi il nostro turno in posta.

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La noia, grande alleata della creatività e del genio, viene così sostituita da una dose di distrazione, molto spesso inutile e superficiale.

La prima soluzione che viene in mente, per allentare la presa della F.O.M.O. su di noi, è ovviamente controllare di meno gli smartphone e i Social durante il giorno.

Un secondo accorgimento, semplice quanto efficace, è quello di smettere di dedicare la nostra attenzione a ciò che fanno e vivono gli altri. Concentrarsi su quel che stiamo facendo, o abbandonarci qualche minuto di sana noia.

Keep it real

Keep it real è un modo di dire che appartiene allo slang americano. Letteralmente significa “attieniti alla realtà”, un’esortazione a non cambiare il proprio modo di essere e di comportarsi in base, ad esempio, alle tendenze e alle influenze della società.

Smettiamola di comparare la nostra vita reale alla vita virtuale degli altri.

Il paragone è sempre e comunque ingiusto e non equo, e questo vale per tutto: vi è mai capitato di cercare casa, trovarne una fantastica sul sito web dell’agenzia immobiliare, per poi scoprire che è una catapecchia virtualmente abbellita da un venditore un po’ troppo furbetto?

Concentriamoci piuttosto su ciò che di vero e buono c’è nella nostra vita e ciò che vi gira intorno.

Ricordiamoci che dall’altra parte dello schermo, c’è un’altra persona come noi, con le nostre stesse paure e la stessa ansia di perdersi qualcosa convinta che la felicità sia altrove.

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Cinema e fantascienza

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Cinema e fantascienza

L’eterno gioco a rincorrersi verso il futuro

Il Cinema, forse più di ogni altra forma d’arte, hai il potere di traghettare il suo spettatore in un mondo parallelo, più o meno aderente a quello reale.


Da grandi poteri, si sa, derivano grandi responsabilità. La responsabilità del Cinema sta nel non limitarsi a raccontare una storia (passata o presente che sia) ma nel tentare di precederlase non inventarla.


È così che, sin dai tempi di Viaggio nella Luna di Méliès e Metropolis di Fritz Lang, il Cinema ha cominciato il suo infinito gioco di acchiapparello con la storia dell’umanità.
Un gioco fatto di rincorrersi, superarsi vicendevolmente e reciprocamente influenzarsi.


Attore coprotagonista di questo tango col Cinema, non può che essere la tecnologia, la sua evoluzione e il suo impatto sull’umanità tutta.

La fantascienza è narrativa dell’ipotesi, della congettura o dell’abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni.
Umberto Eco

 

Certo, di racconti fantascientifici o di premonizione ne è piena la narrativa, da secoli prima che il cinema vedesse la luce.

Ma è con l’invenzione dei fratelli Lumiere, con le immagini che sembrano venir fuori dallo schermo e che danno forma e colore e suono a ciò che prima era solo nell’immaginazione, che la narrazione fantascientifica conosce la sua più profonda rivoluzione.

Tuttavia, esiste un filone narrativo particolarmente vivo negli ultimi anni, che colpisce diritto nell’immaginario collettivo, forse perché più che mai vicino a ciò che potrebbe realmente avverarsi.

Quel filone di cui fanno parte opere come Her e Transcendence, o le serie tv di successo mondiale Mr. Robot e Black Mirror.

 

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Perché questi film e serie tv hanno fatto breccia nel cuore di milioni di appassionati?

Gli autori che le hanno concepite hanno svolto un lavoro di minuziosa ricerca. Hanno scandagliato prima di tutto lo stato attuale delle cose, e tecnologie contemporanee e le loro più probabili (e spesso infauste) evoluzioni.

A questo hanno aggiunto la proiezione degli scenari più esasperati, o pericolosi o depravati.

L’ingrediente segreto? La contrapposizione etica tra ciò che rende umani gli essere umani e ciò che invece inchioda la tecnologia a mero strumento asservitogli.

La singolaritàl’intelligenza collettiva, quella artificiale. Sono solo alcuni dei campi di battaglia nello scontro etico tra chi professa la sua dedizione all’evoluzione tecnologica e chi invece, spaventato dalle possibili declinazioni negative, si auspica uno stallo.

Negli ultimi cento anni l’uomo si è tecnologicamente evoluto più di quanto avesse fatto nel resto della sua storia millenaria. Purtroppo però, la consapevolezza delle potenzialità e delle implicazioni del cambiamento in atto, non ha tenuto il passo con l’evoluzione tecnologica stessa.

È per questo motivo che ci troviamo oggi ad avere grandi mezzi tecnologici, ma allo stesso tempo grandi difficoltà al momento di sfruttarli adeguatamente.

Abbiamo una rete internet che avrebbe dovuto rendere il mondo un posto un po’ più piccolo, e invece spesso è un sottobosco di frustrazione e volgarità, che non fa altro che allontanare le persone.

Abbiamo accesso a miliardi di informazioni che corrispondono ad un antico Pozzo di Connla, ma continuiamo ad accontentarci di graffiare al massimo la superficie, disinteressati a cosa ci può essere sotto.

Black Mirror e le opere sorelle mettono a nudo la dilagante incapacità di buona parte del genere umano di far buon uso di ciò che di buono e salvifico offra la tecnologia.

Un’opera che punta i riflettori sulle zone d’ombra dell’immenso e incontrollato potenziale di un’evoluzione che, volenti o nolenti, ci sta profondamente cambiando la vita.

Il Cinema di fantascienza è due forti mani che ci scuotono le spalle e ci costringono a riflettere: è davvero questo l’utilizzo che vogliamo fare del più grande potenziale tecnologico di cui l’uomo sia mai stato in possesso?

Non corriamo il rischio di auto demolirci, proprio come se, appena scoperto il fuoco, l’uomo primitivo avesse cominciato a bruciare tutto quanto intorno a sé?

Stiamo cercando di rendere le macchine più simili all’uomo, ma se continuiamo così saremo noi a diventare delle macchine, degli automi.

Individui sempre connessi, con a disposizione tutto lo scibile umano, ma che sprecano il tutto per condividere gattini sui social o spiare il vicino.


 

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