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La lentezza (è mezza bellezza)

Uno dei leitmotiv e delle parole più calzanti per definire la nostra società e il nostro stile di vita, è senz’altro “velocità”.

I nostri mezzi di trasporto si fanno sempre più veloci, gli strumenti di comunicazione si fanno sempre più veloci e persino il nostro cibo diventa sempre più fast.

Questa crescente ricerca della velocità, crea un solco profondissimo non solo tra le nostre abitudini passate e quelle presenti, ma soprattutto una discontinuità sostanziale riguardo al nostro modo di pensare e di intendere le cose nel corso dei decenni.

 

Più veloci della luce

D’altronde, è impossibile credere che un uomo abituato a viaggi lunghi mesi, abbia le stesse modalità di pensiero di un uomo che impiega 4 ore per compiere la tratta Pechino-Shangai.

Questo si ripercuote pesantemente sulla nostra capacità – o meglio incapacità – di attendere: se un tempo eravamo abituati ad aspettare 30 secondi perché il nostro amato 56k caricasse la foto di un gattino, adesso storciamo il naso se la nostra odiata ADSL ci mette più di mezzo secondo.

Imponiamo a noi stessi la velocità, in tutti gli aspetti della nostra vita: i frutti devono maturare velocemente e a prescindere dalle stagioni, quel progetto va concluso entro la settimana a prescindere dalla sua qualità, quel vecchietto in auto che va a due chilometri orari deve togliersi dalla strada perché ci rallenta.

Siamo abituati a vedere la lentezza come una forma di deficit, un ostacolo che si piazza tra noi e i nostri obiettivi da raggiungere nel minor tempo possibile. Essere lenti significa dubitare, non esser sicuri di sé e lasciar spazio all’incertezza che nasce dalla riflessione.

 

“C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge.
Allora, istintivamente, rallenta il passo.
Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo.
Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio.”
Milan Kundera – La lentezza


Il cervello-lento

Nonostante ciò che siamo abituati a credere, il nostro cervello è tutto fuorché una macchina veloce.

Uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Accademy of Science (Pnas) e condotto a più mani (tra cui quelle del Dottor Roberto Caminiti, del dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, della Sapienza di Roma) ha dimostrato che il cervello più lento è quello più evoluto.

Monitorando le differenze di funzionamento tra cervelli di macaco, scimpanzé e uomo, è stato rilevato che durante l’evoluzione da scimmia a Uomo moderno, ha prevalso “un meccanismo basato sul trasferimento lento dei segnali nervosi, piuttosto che sulla massima velocità possibile”.

A dispetto di ciò che si pensa, il cervello è un congegno molto più lento rispetto alle altre macchine da lui progettate, e fatica perciò a stargli dietro.

È della stessa opinione il Dottor Lamberto Maffei, già direttore dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazione delle Ricerche, che nel 2014 ha pubblicato il suo Elogio della Lentezza nel quale ci invita a riscoprire “i vantaggi di una civiltà dedita alla riflessività e al pensiero lento”.

La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo.
Milan Kundera – La Lentezza


La rivoluzione della lentezza

In un mondo frenetico e iper-veloce, la scelta della lentezza è un atto rivoluzionario, un’arma di resistenza e un ansiolitico naturale.

Se n’è accorto il mondo della ristorazione, provando a rilanciare una cucina all’insegna dello slow food, se ne sono accorte migliaia di persone che scelgono di passare il proprio tempo libero in campagna e in montagna, per ritrovare il silenzio, la natura e tutta la sua lentezza.

Se ne sono accorti i nuovi accoliti delle filosofie orientali, del buddismo e dello yoga. La meditazione non è altro che un esercizio di immobilità per il corpo e di lentezza per la mente. Dove lentezza non è “arrivare dopo sulle cose”, ma arrivare nel modo giusto, col giusto percorso e col proprio ritmo.

Viaggiare a piedi, divenuto ormai più un hobby che una necessità, ci dà modo di riscoprire la fatica degli spostamenti e una lentezza antica.

Una lentezza che ha a che fare con lo spazio e il tempo, che i nostri nonni contadini conoscevano bene. Un retaggio del passato che riusciamo a cancellare in mille modi, spaventati da ciò che potrebbe accadere se ci fermassimo per un attimo.

Qualcuno ha detto che “è il viaggio che conta, non la destinazione”. Forse intendeva proprio questo: la velocità è oblio e distrazione, è passare sopra e attraverso le cose senza fatica e senza memoria.

La lentezza è l’unica strada possibile per imparare a “sentire il viaggio”, immergersi nelle cose e lasciare che ci tocchino.

Quella eccitantissima perversione di vita: la necessità di compiere qualcosa in un tempo minore di quanto in realtà ne occorrerebbe.
Ernest Hemingway, parlando della fretta


Solo gli stupidi si muovono veloci

Non pensiamo alla lentezza come a un ostacolo ai nostri obiettivi, dovremmo piuttosto intenderla come il modo più preciso e corretto di fare le cose.

“Roma non fu costruita in un giorno” così come un diamante non nasce in una notte. Le cose di maggior valore (idee, relazioni, lavori) hanno bisogno di tempo e dedizione.

Prendiamoci il tempo per fare le cose come si deve, col tempo che ci vuole e l’attenzione necessaria.

Lasciamo la velocità – e l’oblio – a chi vuole tutto e subito, perché molto spesso il “tutto” vuol dir niente e il “subito” è nemico del buono.

 

 

 

 

 

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