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Clickbait: Yellow journalism 2.0

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Clickbait: yellow journalism 2.0

Il click facile che insozza il web

Il termine “clickbait” (letteralmente “click-esca”) indica una tecnica utilizzata da un numero sempre maggiore di pagine web e, specialmente, pagine e profili Facebook o Twitter, per spingere i lettori a cliccare su un determinato link e accedere al rispettivo contenuto.

Per catturare l’attenzione e instillare curiosità nel lettore, vengono proposti titoli sensazionali ed esagerati, a volte addirittura frasi lasciate a metà che promettono, una volta cliccato il link, di svelare i più intricati misteri e le più clamorose notizie.

Una sorta di cosìddetto “yellow journalism”, contraddistinto da notizie leggere, di attualità, scandalistiche, che catturano facilmente l’occhio di chi scorre la propria bacheca Social.

Ecco perchè, sempre più spesso, queste sono intrise di titoli eclatanti come “Guardate cosa stanno facendo a nostra insaputa!oppure “Il Governo nasconde quest’atroce verità!“.

clickbaitlibero

Un esempio di clickbait estremo da parte di Libero

Ma chi e quanto ci guadagna con il clickbait?

Il protagonisti di questo sistema pay-per-click sono tre:

  • Il lettore che, come abbiamo visto, si fa incuriosire dal titolo accattivante o dalla notizia lasciata a metà nell’intestazione
  • La pagina che genera o semplicemente condivide quel tipo di contenuto e in cui sono presenti gli annunci pubblicitari
  • L’investitore che inserisce il proprio annuncio pubblicitario nella pagina, e che paga in base ai click ricevuti da questa (e quindi in base alle persone che potenzialmente hanno visto il loro annuncio)

Un utilizzo “soft” e moderato del clickbait, è utilizzato ad esempio da testate giornalistiche e di informazione online come Wired o Huffington Post, che trovano in questa pratica un modo per produrre contenuti web in grado di auto-finanziarsi ed essere economicamente sostenibili .

Contenuti che, in linea di massima, presentano informazioni utili ed interessanti, scritti in maniera professionale e corredati da fonti attendibili.

Inutile dire che non sempre si fa del clickbait un utilizzo equilibrato e in barba anche alle più comuni regole del buon senso e del buon gusto, se ne estremizzano i termini, in cerca del massimo guadagno.

Un esempio significativo è rappresentato da Buzzfeed che, con più di 7 milioni di fans solo sulla pagina principale di Facebook (senza contare le varie digressioni, come Buzzfeed Food o Buzzfeed Video), conquista internet (e i suoi click) a suon di contenuti assurdi e di dubbia provenienza, catturando visibilità e popolarità per i propri investitori.

click bait fishing

Lo scenario più preoccupante è rappresentato da una sezione News delle nostre bacheche social piena di post, immagini e materiale in genere dalla scarsa qualità. Un’informazione sempre più superficiale e meno attendibile, che punta sempre più a catturare il click del lettore invece di proporre contenuti validi ed approfonditi.

Ovviamente c’è una grande responsabilità etica, e questa grava sia su chi i contenuti li crea o condivide, sia su chi decide di farsi allettare da un titolo scandalistico, regalando un click alla ricerca della soddisfazione al proprio curiosity gap.

Un’ancora di salvataggio alla qualità delle notizie la stanno lanciando colossi come Facebook e Google.

Sia il colosso di Palo Alto che quello di Cupertino modificano costantemente gli algoritmi che sono responsabili del come e quando un contenuto viene mostrato nella newsfeed (flusso di notizie) o nelle SERP (pagine dei risultati di ricerca) .

L’obiettivo è quello di favorire i contenuti che sono più utili agli utenti e che forniscono fonti diverse ed attendibili, tenendo conto infine anche del tempo che gli viene dedicato, penalizzando così i contenuti “usa e getta”.

Una buona notizia per l’informazione di qualità insomma, e una decisione che si spera possa essere condivisa al più presto dai Social Network più diffusi.

In attesa di ciò, possiamo fare affidamento su simpatiche ed encomiabili iniziative di alcuni utenti di Facebook, come quelli che hanno fondato la pagina “Spoilerare post che lasciano informazioni a metà“, dalla mission evidente e più che apprezzabile.

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Un esempio dell’utile lavoro della pagina Facebook

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Comunicazione & Marketing

Bufale sul web

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Bufale sul web

Se le (ri)conosci, le eviti

Quando si parla di bufala ci si riferisce ad una notizia falsa, interamente o parzialmente, che non presenta fonti attendibili e/o confutabili.

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Vi sarà capitato, girovagando tra web e Social Network, di imbattervi nell’immagine postata qui sopra, magari corredata da un appello scritto a lettere cubitali che invoca pietà e indignazione nei confronti di questi poveri gattini e, allo stesso tempo, vendetta e punizioni per l’artefice di questa tortura.

Ecco, questa è la bufala che prenderemo in esempio, una tra le migliaia di bufale che viaggiano indisturbate per il web, nonché una delle prime, per capire come sono fatte, come scoprirle e perché è fondamentale farlo.

La storia di bonsaikitten.com

Nel 2000, un gruppo di studenti del M.I.T., pubblicò il sito bonsaikitten.com, il quale riportava le istruzioni per poter allevare dei gatti in recipienti di vetro, facendo in modo che prendessero la forma proprio del contenitore, esattamente come per i famosi alberi bonsai della tradizione giapponese.

Inutile dire che molte persone, senza preoccuparsi di controllare la veridicità della notizia né le rispettive fonti, gridarono allo scandalo, mobilitando addirittura associazioni animaliste e dando vita ad un movimento online per suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica.

In questo semplice ma ben congegnato scherzo da ragazzi, c’è l’essenza di quella che è una bufala sul web e della gigantesca portata che può assumere .

Di scherzi ben studiati e ben riusciti ce ne sono stati a bizzeffe, anche prima di internet, e ne sanno qualcosa i ragazzi delle teste di Modigliani, che fecero sorridere tutta Italia e arrossire di imbarazzo qualche accademico.

E allora come mai una bufala online non deve essere sottovalutata, ma bisogna bensì impegnarsi affinché venga smascherata?

Una delle caratteristiche che fanno dell’internet il meraviglioso posto quale esso è, risiede nella possibilità di dare a tutti un modo per esprimersi e comunicare i propri pensieri e la propria creatività.

Troppo spesso però, questo potentissimo mezzo viene messo alla mercé non solo di goliardiche intenzioni, ma anche di subdoli progetti che mirano a diffondere volutamente disinformazione, paura e diffidenza.

È il caso delle tante bufale nate negli ultimi anni che riguardano le problematiche più disparate, dalla politica alla medicina, dall’immigrazione alla religione.

Notizie fasulle, come quelle sui presunti studi che collegherebbero i vaccini all’autismo, o di una mortale quanto inesistente calamità naturale dall’altra parte del mondo, sono solo alcuni esempi.

Informazioni messe in circolo a caccia di un click o una condivisione, nella più blanda delle ipotesi. Non di rado però, la bufala è la via più veloce e virale con la quale attirare l’attenzione nei confronti di un determinato argomento, sfruttando i potenti metodi di condivisione e riproduzione messi a disposizione dal web e in particolare dai Social Network.

Una volta innescata la scintilla, la bufala attinge alle paure e le preoccupazioni di chi, senza controllarne provenienza e riferimenti, la condivide e ne fa una scheggia impazzita e virale per il web.

Così, mentre la notizia (falsa) che Nostradamus avesse previsto gli attacchi a Parigi può stupire, la notizia (falsa) che un dirigente scolastico avrebbe vietato il crocefisso nella scuola può indignare, ci sono notizie bufala che possono gettare benzina su incandescenti questioni di fondamentale importanza, come la guerra in medio-oriente, Isis e immigrazione.

Come si fa, allora, a smascherare una bufala?

Per smascherare una bufala potrebbero essere sufficienti le più normali accortezze dettate dal buon senso.

E’ importante, prima di dare per vera una notizia e quindi condividerla (sul web ma anche nella vita reale), porsi queste domande:

  1. Chi ha pubblicato la notizia?
    Una testata giornalistica o una pagina d’ informazione conosciuta e che normalmente genera contenuti attendibili?
    La pagina di “Repubblica” è, in linea di massima, più attendibile di un’ignota www.pincopallino.it.
  2. Chi l’ha condivisa?
    E’ una pagina/persona/organizzazione affidabile, esperta nell’argomento di cui tratta la notizia?
  3. Sono citate delle fonti? Quante? Sono attendibili?
    Parlare di un medicinale inutile o dannoso e citare come fonte l’O.M.S. può essere sintomo di affidabilità di una notizia. Citare il blog di un opinionista no.
  4. Qualcuno ha già confutato la notizia?
    Un altro sito o un esperto dell’argomento ha detto la sua riguardo alla notizia, motivando la sua opinione e apportando valide fonti?
  5. La notizia è plausibile?
    Certo, con gli enormi progressi della tecnologia e della medicina, la linea tra credibile e incredibile è molto sottile, ma di un gattino che cresce in una bottiglia di vetro si può senza sforzo dubitare, no?

Questa è una lista ovviamente non esaustiva, ma che affiancata ad una buona dose di intelligenza critica e di buon senso può evitare la diffusione ( se non la nascita) di una bufala che potrebbe avere effetti pericolosi.

Fortunatamente, di pari passo alla nascita di nuove e sempre più fantasiose bufale, sono nati anche siti e pagine social che mirano smascherare le notizie fasulle che girano in rete. Ne sono un esempio pagine come Bufale un tanto al chilo e Bufale.net, ormai da anni in prima linea nell’agguerrita battaglia contro bufale e clickbait.

 

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