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Idee fantastiche e come trovarle

Idee fantastiche e come trovarle

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Pensa all’ultima volta che hai concepito una buona idea e che, almeno per qualche istante, ti è sembrata rivoluzionaria e innovativa. Un momento in cui tutto ti è sembrato facile e illuminato: quel lavoro che ti tiene fermo da settimane, puoi chiuderlo! Quel problema che ti preoccupa da un po’ di tempo, puoi risolverlo senza patemi!

Le migliori idee arrivano, inaspettate e folgoranti, durante i momenti più insospettabili.

Sono pronto a scommettere che quell’idea o quello stato di grazia in cui tutto era più chiaro, è avvenuto molto probabilmente durante la doccia, poco prima di addormentarti oppure facendo una lunga passeggiata.

Perché mai, in determinati momenti della giornata, siamo più propensi a dare alla luce idee geniali che ci erano precluse fino ad un attimo prima?

L’ascensore freudiano

Secondo il padre della psicanalisi, il preconscio è una struttura che fa da ponte tra l’inconscio e il conscio.

Un po’ come se la nostra consapevolezza prendesse l’ascensore, scendesse nello scantinato dell’inconscio, e portasse su degli scatoloni pieni zeppi di idee, ricordi e sensazioni che erano lì, ricoperti dalla polvere e in attesa di essere riportati alla luce.

Spesso, a risvegliare il livello del preconscio e a innescare questo “trasloco” dal basso verso l’alto, è un elemento esterno che riporta la nostra mente a qualcos’altro: un suono, un profumo, una sensazione.

Ciò che possiamo fare, per favorire il ruolo del preconscio, è abbassare le nostre difese e creare le condizioni adatte.

In quali momenti le nostre difese si abbassano e lasciano il campo al libero fluire di idee e inspirazione?

I’m thinking in the rain

La doccia è senz’altro uno dei momenti più rilassanti della giornata. Soprattutto se fatta di sera, rappresenta il traguardo meritato dopo una giornata fatta di lavoro, impegni e ritmi faticosi.

La dopamina prodotta dal nostro cervello agisce in maniera positiva sui pensieri, l’assenza di distrazioni come smartphone e internet ci permette di far viaggiare la mente da un punto all’altro.

Il suono dello scroscio dell’acqua, infine, funge da catalizzatore di idee, e per questo motivo è utilizzato spesso per favorire la meditazione.

La doccia è una sorta di camera di decompressione dopo una giornata piena di stimoli.

A letto con le idee

Il letto, così come la doccia, è un luogo che per la nostra mente rappresenta relax e comfort.

Anche in questo caso, non abbiamo dispositivi elettronici e social media a disturbarci. La mente è carica degli stimoli e delle informazioni della giornata, ma finalmente riesce a prendere il distacco che serve per avere una visione d’insieme.

Come chi, davanti ad un quadro d’artista, fa un passo indietro per poterne apprezzare nel complesso la sua bellezza.

Aggiungerei, infine, che il letto è un posto dove ci sentiamo al sicuro, protetti dall’abbraccio delle lenzuola e/o del nostro partner. In una situazione di sicurezza, la nostra mente osa arrivare a pensieri che poco prima sembravano intangibili.
Passeggiata spensierata

Un altro trucco per dare al preconscio la possibilità  di fare il suo lavoro al meglio, consiste in una bella passeggiata ristoratrice.

La californiana Standford University ha svolto una ricerca per capire la correlazione tra moto e creatività . I risultati dicono che chi cammina mentre pensa, trova soluzioni creative il 60% in più rispetto a chi rimane fermo sul posto. Non è un caso insomma se, pensando a come moltiplicare i suoi quattrini, Zio Paperone camminasse avanti e indietro fino a fare un solco nel pavimento.

Fare movimento, a prescindere che sia in un parco all’aperto o su un tapis-roulant al chiuso, favorisce ancora una volta la produzione di dopamina, allenta la tensione e aiuta a distrarsi da un pensiero che è diventato troppo centrale nella nostra mente, così da poterlo guardare da nuove prospettive.

Bonus track: Daydreaming

Gli anglofoni lo chiamano daydreaming, da noi si chiama “sognare ad occhi aperti”.

Un’attività  che chiunque si sia trovato in situazioni monotone e noiose ha conosciuto e sfruttato per fuggirle.

Passare un po’ di tempo con la testa tra le nuvole, visto da sempre come diversivo per i più distratti a scuola o al lavoro, è in realtà  un ottimo modo per alleggerire la mente da pensieri troppo pressanti o confusi. Sognare ad occhi aperti, serve inoltre a potenziare le nostre capacità  di astrazione e permette al cervello di sondare nuove strade e trovare nuove soluzioni (pensiero divergente).

La prossima volta che avrai bisogno di un’idea geniale o di un nuovo punto di vista per risolvere un problema troppo complicato, fai una doccia, un pisolino, una passeggiata o un viaggio ad occhi aperti: il tuo corpo e la tua mente te ne saranno grati, e il tuo datore di lavoro non potrà  darti dello sfaticato!

grandi registi fanno pubblicità
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5 grandi registi prestati alla pubblicità

grandi registi fanno pubblicità

In principio era Carosello.

Il programma che ha tenuto compagnia per vent’anni a milioni di italiani, tra cui i nostri nonni e i nostri genitori, si basava su una sapiente mescolanza tra intrattenimento e pubblicità.

Non sempre, però, gli spot pubblicitari trasmessi durante le pause di un film o un programma televisivo, sono in grado di attirare l’attenzione e l’interesse degli spettatori. Spesso, invece, sono solo una buona occasione per andare in bagno o controllare cosa c’è in onda su altri canali.

Troppo frequentemente, l’intervallo consiste in trenta secondi (o più) di testimonial dai sorrisi smoderatamente accattivanti, intenti a decantare le qualità del prodotto pubblicizzato e invitare ammiccanti lo spettatore all’acquisto.

A vedere certi film penso quanto sia bella la pubblicità.
Oliviero Toscani

Fortunatamente, per chi guarda la tv e per chi vuole vendere i propri prodotti, grandi brand come Nike Apple hanno osato trasformare quei pochi secondi a disposizione in veri e propri cortometraggi di qualità. Piccoli capolavori che, tramite una narrazione accattivante e una produzione di alto valore, riescono a catturare l’interesse e coinvolgere i possibili clienti.

Ne consegue che la storia della pubblicità sia ricca di collaborazioni, più o meno memorabili e più o meno riuscite, con grandi registi presi in prestito dal cinema. Federico Fellini, David Fincher e Darren Aronofsky sono solo alcuni degli illustri cineasti che hanno reso lo spot un momento godibile e degno di essere visto.

Ecco cinque grandi nomi della settima arte e i loro rispettivi lavori pubblicitari.

  1. Wes Anderson per Prada – Castello Cavalcanti (2013)

    Il regista di Houston, famoso per i riconoscibilissimi colori e le inquadrature dei suoi film, ha collaborato con l’azienda di alta moda italiana. Nello spot/cortometraggio ci sono tutti gli elementi caratteristici dei lavori di Anderson:  Jason Schwartzman (attore feticcio del regista), un’avvenente quanto apatica barista e i dialoghi surreali e dal ritmo incalzante (“completamente finito, totale calamity disastro catastrofica!”). Alla fine dei circa 8 minuti, resta l’amaro in bocca e la curiosità di sapere come si sarebbe evoluta la storia nell’immaginaria cittadina di Castello Cavalcanti.

  2. Spike Lee per Nike – Is it the shoes? (1991)

    https://www.youtube.com/watch?v=BhHONpmlxPc

    Il regista di Fa’ la cosa giusta e Malcom X, dirige nel ’91 uno spot in bianco e nero per uno dei brand sportivi più famosi al mondo. Per questa grande occasione, l’accanito tifoso di basket americano non può che farsi affiancare dalla più grande star della palla a spicchi: Michael Jeffrey Jordan. Lo spot, accompagnato da una base ritmica tipicamente anni ’90, è incentrato sul segreto nascosto dietro alle smisurate capacità atletiche e tecniche del cestista dei Chicago Bulls.
    “È il taglio di capelli? Sono i calzini corti? Sono le scarpe? Sono le scarpe? Devono essere le scarpe!”

  3. Ridley Scott per Apple – “1984” (1984)

     

    Al 1984, Ridley Scott aveva già diretto due dei suoi più grandi capolavori di fantascienza: Alien e Blade Runner. Non è difficile immaginare perché la Apple si sia rivolta a lui, affidandogli la direzione di uno spot che rappresenta una non troppo sottile citazione dell’opera di George Orwell, appunto “1984”. Il lavoro di Scott per l’azienda di Steve Jobs fu proiettato un’unica volta, nell’intervallo del Super Bowl, ma questa gli bastò per passare alla storia.
    In un’ambientazione distopica e inquietante, una sconosciuta eroina lancia un martello contro lo schermo del Grande Fratello, liberando gli spettatori dalla loro condizione di schiavi del conformismo.

  4. David Lynch per Sony – “Play Station 2” is The Third Place (2000)

    Chiunque abbia visto una delle opere di David Lynch, sa bene che il regista statunitense si ama o si odia. È impossibile arrivare alla fine di un suo film senza provare una profonda ammirazione o un intenso turbamento.
    Nel 2000 la multinazionale giapponese vuole lanciare il secondo modello della sua console, presentandola come una porta verso un ipotetico third place, una terza dimensione astratta.
    Nessuno meglio del regista di Eraserhead e Strade perdute può rendere “reale” una dimensione paranormale e onirica, accompagnandoci per mano verso un disturbante sogno ad occhi aperti.

    Welcome to the third place!

  5. Spike Jonze per Ikea – Lamp (2002)

    Nello stesso anno di uscita de Il ladro di orchidee (film con un “doppio” Nicolas Cage e la sceneggiatura di Charlie Kaufman), il regista premio Oscar collabora con l’azienda svedese leader mondiale nella vendita di mobili e oggettistica per la casa. Un solo minuto, scandito da un’incessante pioggia e un pianoforte, durante il quale lo spettatore entra in empatia con un semplice oggetto.
    Una lampada viene abbandonata dal suo proprietario e sostituita da un modello nuovo. La bravura di Jonze, sta nel servirsi della colonna sonora e del montaggio per trasmettere un’emozione e un senso di abbandono, nonostante il protagonista dello spot sia un oggetto inanimato.
    Il finale a sorpresa ridesta lo spettatore e lo riporta alla realtà dei fatti: it has no feelings, and the new one is much better!

    Bonus – Sergio Leone per Renault (1981)

    La collaborazione tra cinema e pubblicità non è affare esclusivo dei registi americani. Anche il nostro grande Sergio Leone ha prestato la sua opera per uno spot pubblicitario. Nel 1981 dirige circa 50 secondi di puro Western per la casa produttrice automobilistica francese. L’ambientazione, la colonna sonora del maestro Ennio Morricone (una creativa versione western di Per Elisa di Beethoven) e il taglio del leggendario regista romano, rendono epico questo piccolo gioiello di advertising.

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Pensiero daltonico

Pensiero daltonico

Il prossimo ottobre per me saranno dieci anni di patente. Uno di quei traguardi che ti sorprendono come un fulmine a ciel sereno e ti spingono a considerare, più o meno seriamente, il tempo che passa e la fugacità della vita.

Il giorno prima dell’esame scritto, ricordo che il mio istruttore mi confidò un trucco per rispondere ad alcune domande particolarmente spigolose:

 

“Quando in una domanda ci sono espressioni come sempre, mai o ogni qual volta, quella domanda è falsa!”

 

Senza saperlo, l’istruttore mi diede la mia prima lezione sul pensiero dicotomico e su come riconoscerlo. Gli anglofoni, non a caso, lo chiamano black and white thinking, pensare in bianco e nero. Questa modalità di pensiero consiste nel non considerare le sfaccettature di un argomento, soffermandosi solo sui valori estremi che questo può presentare.

Il pensiero in bianco e nero che elimina le mille meravigliose sfaccettature della vita.

Una sorta di pensiero binario, secondo il quale ogni aspetto della vita è 1 o 0, giusto o sbagliato, bello o brutto. Una pericolosa semplificazione che non tiene conto del contesto e delle sfumature che ciascun argomento possiede.

Circuiti sovraccarichi

Per quale motivo siamo portati a dividere tutto in bianco o in nero?

Il cervello, lo sappiamo, è il marchingegno più potente che esista in natura. Ciononostante, come qualsiasi altro congegno, può vacillare se sottoposto ad una mole eccessiva di lavoro.

Questo accade sempre più spesso, in un contesto storico in cui abbiamo un’ampia scelta su ogni cosa. Al bar, ad esempio, possiamo chiedere un caffè espresso, un caffè lungo, macchiato, in vetro, con zucchero di canna o fruttosio.

Ne consegue che, ingolfato dalle mille decisioni giornaliere da prendere, il cervello attiva una sorta di meccanismo di difesa per ridurre al minimo il sovraccarico. Tramite questa distorsione cognitiva, il pensiero dicotomico appunto, si corre il rischio di eliminare le numerose sfaccettature del mondo che ci circonda.

 

Di conseguenza, un lavoro andato male sarà per forza di cose un fallimento su tutti i fronti, una persona scortese sarà sicuramente una persona cattiva e un cuoco che sbaglia una ricetta sarà senza dubbio un pessimo cuoco.

 

Questo funzionamento mentale di rimozione ci dona una superficiale e inesatta sensazione di sicurezza, e ci spinge a fossilizzarci su altrettanto superficiali e inesatte convinzioni.

 

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Pensieri pericolosi

Fin quando si tratta di scegliere quale caffè ordinare o quale film vedere al cinema, il pensiero dicotomico può essere anche d’aiuto per alleggerire il lavoro del nostro cervello, senza causare troppi danni.

 

Un’estremizzazione di questo concetto può però portare il pensatore daltonico a vedere il mondo con delle lenti distorsive e pericolose.

 

Ne sono ben consapevoli alcuni propagandisti che, facendo leva sulle pulsioni emotive più profonde dell’animo umano, radicalizzano alcuni aspetti della società per creare diffidenza e paura nei confronti di un obiettivo prestabilito.

Ecco che, sotto questa lente daltonica, tutti i musulmani diventano terroristi, tutti i napoletani sono camorristi e tutti gli stranieri vengono nel nostro paese a delinquere.

Rainbow Thinking

Oltre a creare solidi e insensati pregiudizi, il pensiero dicotomico ci preclude quell’ampia gamma di colori che rende il mondo un posto così unico e affascinante.

Questo porta ad un inaridimento della creatività, della fantasia e dell’empatia, con le conseguenti ripercussioni sullo sviluppo scientifico, sull’arte e sulla solidarietà tra gli uomini.

Solo sforzandoci di vedere le sfumature e i colori che sono in ogni cosa, siamo in grado di trarre il meglio da ogni esperienza e capire a fondo ogni situazione.

 

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In questo modo, un lavoro andato male ci darà gli spunti per migliorare, una persona scortese sarà probabilmente una buona persona che ha avuto una brutta giornata e un cuoco che sbaglia una ricetta sarà un buon cuoco che ha commesso un semplice errore.

Ricordiamo la filosofia cinese dello Yin e Yang: non può esserci il giorno senza la notte, la gioia senza il dolore, la luce senza il buio.

Ma ricordiamo anche che, come insegnano i latini, è nella terra di mezzo tra tutte queste estremità, nel delicato equilibrio tra due poli opposti, che l’uomo trova la virtù.

 

“Ero dentro e fuori, simultaneamente attratto e respinto dall’inesauribile varietà della vita” – Il Grande Gatsby – F.S. Fitzgerald


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game of colours
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Quando il lavoro si fa duro…i duri iniziano a giocare

game of colours

Nella nostra cultura, la voragine concettuale tra lavoro e gioco, è ampia e irriducibile almeno quanto quella tra le coste della Calabria e quelle della Sicilia.

Pochi temerari osano navigare le burrascose acque che dividono le due sponde, con l’obiettivo quasi utopico di unire sacrificio e divertimento.

Lavoratori disinteressati

L’incapacità (o l’impossibilità) di unire questi due aspetti fondamentali della nostra vita, porta a quella che viene oggi definita come employee engagement crisis: la perdita, da parte dei lavoratori dipendenti, di ogni forma di motivazione e soprattutto interesse in quel che fanno.

Quando il lavoro assopisce lo spirito, bisogna guardare al mondo dei giochi, per ritrovare coinvolgimento e motivazione

Le cause di questa perdita di entusiasmo?

Ritmi di lavoro insostenibili, l’assenza di comunicazione con il management, nessun riconoscimento o feedback, la difficoltà di trovare un obiettivo comune e ben preciso.

L’agenzia americana di analisi e consulenza del lavoro Gallup, ha stimato che nel mondo solo il 13% dei lavoratori dipendenti si sente engaged, ossia realmente coinvolto e interessato ai meccanismi e allo sviluppo della propria azienda.

Il lavoro è un gioco

Prendete una persona che conoscete e che è realmente entusiasta del suo lavoro. Tralasciando per un attimo il lato economico e il prestigio che una posizione lavorativa può presentare, quali sono gli aspetti che lo gratificano?

Probabilmente vi parlerà del piacere della sfida, del confronto o della sana competizione coi colleghi, del raggiungimento di un obiettivo e della ricompensa finale. Tutti aspetti che caratterizzano il divertimento prodotto da un gioco.

Non stiamo parlando del divertimento che si può provare ad una festa tra amici o ad uno spettacolo comico, bensì di una sorta di divertimento stimolante che è frutto di concentrazione, partecipazione e complessità.

Hard fun e Teoria del Flusso

Il pedagogista e informatico americano Seymour Papert, proprio per sottolineare la differenza tra i due tipi di divertimento descritti sopra, ha coniato il termine hard fun.

Hard fun, letteralmente “divertimento arduo”, indica uno stato di piacere generato dal cimentarsi e superare le difficoltà durante una prova complessa.

Prendiamo ad esempio un giocatore di scacchi: raramente ne vedrete uno sorridere e trotterellare durante un partita, ciò non toglie che il gioco gli provochi un’intensa soddisfazione, una trance agonistica che cancella per un breve periodo i segni della stanchezza, della fame e del sonno.

Il concetto di trance è ripreso dallo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi nella sua famosa teoria del flusso: una condizione durante la quale un’attività riesce a “monopolizzare” tutte le nostre attenzioni ed energie, facendoci perdere la cognizione del tempo e la percezione degli stimoli interni o esterni.

Così, allo stesso modo, il bambino che gioca ai videogiochi e l’artigiano che porta avanti con passione il suo lavoro, non si accorgono delle ore che passano leggere e piacevoli.

player chess and wine

Le regole del gioco

Per questo motivo, è importante operare una sorta di lucidicizzazione del lavoro, sottometterlo alle regole che sono proprie del “gioco impegnato” e che lo rendono tanto interessante e accattivante.

Seguendo le indicazioni di Csíkszentmihályi, possiamo elencare i fattori necessari affinché un lavoro sia stimolante e gratificante:

  • Avere chiari gli obiettivi: sapere cosa vogliamo raggiungere tramite il lavoro e in che modo

  • Feedback continui: il consiglio o la critica costruttiva di colleghi e superiori

 

  • Sfide alla portata: intraprendere lavori che siano effettivamente al nostro livello

 

  • Avere il controllo: essere attivi nei confronti del lavoro, e non subirlo passivamente

 

  • Imparare dagli errori: la possibilità di sapere dove abbiamo sbagliato e come evitare di ripetere l’errore in futuro

 

  • Ricompensa: il meritato premio e la gratifica personale

 

pic of rubic cube

Il lavoro, nel bene o nel male, impegna circa un terzo della nostra vita, ed è uno dei più importanti strumenti di autorealizzazione, sia dal punto di vista della crescita personale che del rapporto interpersonale.

Dovremmo tener ben presente che, così come per la crescita e lo sviluppo dei bambini, le regole del gioco ricoprono un ruolo di primo piano anche nella vita degli adulti, e magari tatuarci sulla pelle la saggia citazione che dice:

L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.
George Bernard Shaw

 

 

 

picasso guernica daniele signoriello copywriter
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Di cosa parliamo quando parliamo di creatività

picasso guernica daniele signoriello copywriter

Quando sento definire una persona o un’idea creativa, mi viene la pelle d’oca.

Ciò che mi fa rabbrividire è la leggerezza con la quale troppo spesso si dà a questo concetto una parvenza di esclusività: la creatività vista come un lusso per pochi eletti, fortunati e senz’altro invidiabili.

Decantata, amata, invidiata e sottovalutata. La creatività è un dono del destino oppure una competenza che si apprende?

Ma davvero la capacità di creare o pensare nuove cose e nuove idee è facoltà esclusiva di artisti, intellettuali e grandi pensatori?

La creatività quotidiana

Personalmente, ho sempre visto la creatività non come un talento ricevuto in dono alla nascita, né tanto meno una competenza che si acquisisce con lo studio o tramite un preciso corso universitario. Certo, la si può affinare e soprattutto allenare, ma non imparare sui banchi di scuola come con la geografia o la storia.

Più plausibilmente, la creatività è un’ attitudine, una modalità di pensiero, un tipo di approccio alla vita in tutti i suoi aspetti.

Non è forse creativo il giovane innamorato che si ingegna, pur non essendo scrittore di professione, per creare una lettera d’amore alla sua bella?

Non è forse creativo l’imprenditore che, pur non facendo della creatività il suo pane quotidiano, se ne serve per dare vita e sussistenza alla sua impresa?

Vecchi ingredienti, nuove ricette

Cos’è, dunque, questa chimera che tanti professano, ostentano e inseguono?

Sintetizzando il pensiero del matematico, fisico e filosofo naturale francese Henri Poincaré, potremmo dire che la creatività è il processo con il quale si uniscono elementi già esistenti attraverso collegamenti del tutto nuovi.

La creatività, quindi, non ha a che fare tanto con la creazione di qualcosa (nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, no?), ma piuttosto con la capacità di trovare inediti punti di vista su qualcosa che è già stato inventato, nuove ricette per impastare vecchi ingredienti.

La creatività è la capacità di trovare inediti punti di vista su qualcosa che è già stato inventato, nuove ricette per impastare vecchi ingredienti.

creatività daniele signoriello copywriter

Le condizioni per la creatività si devono intrecciare: bisogna concentrarsi. Accettare conflitti e tensioni. Rinascere ogni giorno. Provare un senso di sé – Eric Fromm

Respira e lasciati ispirare

Mi è capitato più volte di sentire o leggere, all’interno di un contesto informatico, la frase “reinventare la ruota”. Ciò ha a che fare con l’inutilità, per i progettisti, di scervellarsi per creare qualcosa daccapo, quando qualcun altro l’ha precedentemente fatto.

Cosa c’entra questo con la creatività? I Rolling Stones, idoli di più generazioni che hanno rivoluzionato il rock, non hanno preso in prestito (o tratto ispirazione) dal blues di Muddy Waters e Robert Johnson?

Quentin Tarantino, tra i registi più apprezzati del nostro tempo, non ha forse attinto a piene mani nel repertorio cinematografico di grandi maestri come Sergio Leone o Jean-Pierre Melville?

In realtà, le potenzialità creative di un individuo sono strettamente legate alla sua capacità di lasciarsi influenzare dagli stimoli che lo circondano. Se prendessimo una persona e la lasciassimo vivere in una stanza vuota, senza libri, film o musica, sarebbe in grado di produrre qualcosa di bello?

“I buoni artisti copiano, i grandi rubano”
Pablo Picasso

Copia consapevolmente

D’accordo, questo non vuol dire che per essere creativi basti farsi bombardare passivamente dai prodotti della creatività altrui. Tanto meno la copia selvaggia (o meglio il plagio) del lavoro di qualcun altro può portare ad un risultato, se non ad una brutta figura o ad una denuncia di furto di proprietà intellettuale.

La creatività non è un processo meccanico, non la si impara a tavolino, come già detto.

Vedo la creatività come un grande frullatore: si prendono delle informazioni e degli stimoli, si aggiungono delle influenze e delle ispirazioni, un pizzico (si fa per dire) di concentrazione e tanta perseveranza.

Vi si aggiunge la competenza tecnica di un determinato campo: puoi essere creativo quanto vuoi, ma se non hai studiato architettura non sarai mai un Renzo Piano!

L’ingrediente segreto? L’insight, l’intuizione, la visione. La polvere magica che amalgama tutti gli ingredienti e crea il nuovo collegamento.

Si lascia sedimentare il tutto per un po’, magari lontano da ulteriori sovraccarichi di informazioni o stimoli. Questo è il motivo per il quale tanti artisti vivono dei periodi di isolamento. Alcuni altri, sono capaci di isolarsi, o meglio alienarsi, per cullare una propria idea anche in mezzo al caos.

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Clickbait: Yellow journalism 2.0

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Clickbait: yellow journalism 2.0

Il click facile che insozza il web

Il termine “clickbait” (letteralmente “click-esca”) indica una tecnica utilizzata da un numero sempre maggiore di pagine web e, specialmente, pagine e profili Facebook o Twitter, per spingere i lettori a cliccare su un determinato link e accedere al rispettivo contenuto.

Per catturare l’attenzione e instillare curiosità nel lettore, vengono proposti titoli sensazionali ed esagerati, a volte addirittura frasi lasciate a metà che promettono, una volta cliccato il link, di svelare i più intricati misteri e le più clamorose notizie.

Una sorta di cosìddetto “yellow journalism”, contraddistinto da notizie leggere, di attualità, scandalistiche, che catturano facilmente l’occhio di chi scorre la propria bacheca Social.

Ecco perchè, sempre più spesso, queste sono intrise di titoli eclatanti come “Guardate cosa stanno facendo a nostra insaputa!oppure “Il Governo nasconde quest’atroce verità!“.

clickbaitlibero

Un esempio di clickbait estremo da parte di Libero

Ma chi e quanto ci guadagna con il clickbait?

Il protagonisti di questo sistema pay-per-click sono tre:

  • Il lettore che, come abbiamo visto, si fa incuriosire dal titolo accattivante o dalla notizia lasciata a metà nell’intestazione
  • La pagina che genera o semplicemente condivide quel tipo di contenuto e in cui sono presenti gli annunci pubblicitari
  • L’investitore che inserisce il proprio annuncio pubblicitario nella pagina, e che paga in base ai click ricevuti da questa (e quindi in base alle persone che potenzialmente hanno visto il loro annuncio)

Un utilizzo “soft” e moderato del clickbait, è utilizzato ad esempio da testate giornalistiche e di informazione online come Wired o Huffington Post, che trovano in questa pratica un modo per produrre contenuti web in grado di auto-finanziarsi ed essere economicamente sostenibili .

Contenuti che, in linea di massima, presentano informazioni utili ed interessanti, scritti in maniera professionale e corredati da fonti attendibili.

Inutile dire che non sempre si fa del clickbait un utilizzo equilibrato e in barba anche alle più comuni regole del buon senso e del buon gusto, se ne estremizzano i termini, in cerca del massimo guadagno.

Un esempio significativo è rappresentato da Buzzfeed che, con più di 7 milioni di fans solo sulla pagina principale di Facebook (senza contare le varie digressioni, come Buzzfeed Food o Buzzfeed Video), conquista internet (e i suoi click) a suon di contenuti assurdi e di dubbia provenienza, catturando visibilità e popolarità per i propri investitori.

click bait fishing

Lo scenario più preoccupante è rappresentato da una sezione News delle nostre bacheche social piena di post, immagini e materiale in genere dalla scarsa qualità. Un’informazione sempre più superficiale e meno attendibile, che punta sempre più a catturare il click del lettore invece di proporre contenuti validi ed approfonditi.

Ovviamente c’è una grande responsabilità etica, e questa grava sia su chi i contenuti li crea o condivide, sia su chi decide di farsi allettare da un titolo scandalistico, regalando un click alla ricerca della soddisfazione al proprio curiosity gap.

Un’ancora di salvataggio alla qualità delle notizie la stanno lanciando colossi come Facebook e Google.

Sia il colosso di Palo Alto che quello di Cupertino modificano costantemente gli algoritmi che sono responsabili del come e quando un contenuto viene mostrato nella newsfeed (flusso di notizie) o nelle SERP (pagine dei risultati di ricerca) .

L’obiettivo è quello di favorire i contenuti che sono più utili agli utenti e che forniscono fonti diverse ed attendibili, tenendo conto infine anche del tempo che gli viene dedicato, penalizzando così i contenuti “usa e getta”.

Una buona notizia per l’informazione di qualità insomma, e una decisione che si spera possa essere condivisa al più presto dai Social Network più diffusi.

In attesa di ciò, possiamo fare affidamento su simpatiche ed encomiabili iniziative di alcuni utenti di Facebook, come quelli che hanno fondato la pagina “Spoilerare post che lasciano informazioni a metà“, dalla mission evidente e più che apprezzabile.

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Un esempio dell’utile lavoro della pagina Facebook

viaggio sulla luna molies luna con cannocchiale
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Cinema e fantascienza

viaggio sulla luna molies luna con cannocchiale

Cinema e fantascienza

L’eterno gioco a rincorrersi verso il futuro

Il Cinema, forse più di ogni altra forma d’arte, hai il potere di traghettare il suo spettatore in un mondo parallelo, più o meno aderente a quello reale.


Da grandi poteri, si sa, derivano grandi responsabilità. La responsabilità del Cinema sta nel non limitarsi a raccontare una storia (passata o presente che sia) ma nel tentare di precederlase non inventarla.


È così che, sin dai tempi di Viaggio nella Luna di Méliès e Metropolis di Fritz Lang, il Cinema ha cominciato il suo infinito gioco di acchiapparello con la storia dell’umanità.
Un gioco fatto di rincorrersi, superarsi vicendevolmente e reciprocamente influenzarsi.


Attore coprotagonista di questo tango col Cinema, non può che essere la tecnologia, la sua evoluzione e il suo impatto sull’umanità tutta.

La fantascienza è narrativa dell’ipotesi, della congettura o dell’abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni.
Umberto Eco

 

Certo, di racconti fantascientifici o di premonizione ne è piena la narrativa, da secoli prima che il cinema vedesse la luce.

Ma è con l’invenzione dei fratelli Lumiere, con le immagini che sembrano venir fuori dallo schermo e che danno forma e colore e suono a ciò che prima era solo nell’immaginazione, che la narrazione fantascientifica conosce la sua più profonda rivoluzione.

Tuttavia, esiste un filone narrativo particolarmente vivo negli ultimi anni, che colpisce diritto nell’immaginario collettivo, forse perché più che mai vicino a ciò che potrebbe realmente avverarsi.

Quel filone di cui fanno parte opere come Her e Transcendence, o le serie tv di successo mondiale Mr. Robot e Black Mirror.

 

black mirror futuro e fantascienza

Perché questi film e serie tv hanno fatto breccia nel cuore di milioni di appassionati?

Gli autori che le hanno concepite hanno svolto un lavoro di minuziosa ricerca. Hanno scandagliato prima di tutto lo stato attuale delle cose, e tecnologie contemporanee e le loro più probabili (e spesso infauste) evoluzioni.

A questo hanno aggiunto la proiezione degli scenari più esasperati, o pericolosi o depravati.

L’ingrediente segreto? La contrapposizione etica tra ciò che rende umani gli essere umani e ciò che invece inchioda la tecnologia a mero strumento asservitogli.

La singolaritàl’intelligenza collettiva, quella artificiale. Sono solo alcuni dei campi di battaglia nello scontro etico tra chi professa la sua dedizione all’evoluzione tecnologica e chi invece, spaventato dalle possibili declinazioni negative, si auspica uno stallo.

Negli ultimi cento anni l’uomo si è tecnologicamente evoluto più di quanto avesse fatto nel resto della sua storia millenaria. Purtroppo però, la consapevolezza delle potenzialità e delle implicazioni del cambiamento in atto, non ha tenuto il passo con l’evoluzione tecnologica stessa.

È per questo motivo che ci troviamo oggi ad avere grandi mezzi tecnologici, ma allo stesso tempo grandi difficoltà al momento di sfruttarli adeguatamente.

Abbiamo una rete internet che avrebbe dovuto rendere il mondo un posto un po’ più piccolo, e invece spesso è un sottobosco di frustrazione e volgarità, che non fa altro che allontanare le persone.

Abbiamo accesso a miliardi di informazioni che corrispondono ad un antico Pozzo di Connla, ma continuiamo ad accontentarci di graffiare al massimo la superficie, disinteressati a cosa ci può essere sotto.

Black Mirror e le opere sorelle mettono a nudo la dilagante incapacità di buona parte del genere umano di far buon uso di ciò che di buono e salvifico offra la tecnologia.

Un’opera che punta i riflettori sulle zone d’ombra dell’immenso e incontrollato potenziale di un’evoluzione che, volenti o nolenti, ci sta profondamente cambiando la vita.

Il Cinema di fantascienza è due forti mani che ci scuotono le spalle e ci costringono a riflettere: è davvero questo l’utilizzo che vogliamo fare del più grande potenziale tecnologico di cui l’uomo sia mai stato in possesso?

Non corriamo il rischio di auto demolirci, proprio come se, appena scoperto il fuoco, l’uomo primitivo avesse cominciato a bruciare tutto quanto intorno a sé?

Stiamo cercando di rendere le macchine più simili all’uomo, ma se continuiamo così saremo noi a diventare delle macchine, degli automi.

Individui sempre connessi, con a disposizione tutto lo scibile umano, ma che sprecano il tutto per condividere gattini sui social o spiare il vicino.


 

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Blog, Società

A scuola di storytelling da Bob Dylan

 

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A scuola di storytelling da Bob Dylan

Da menestrello folk a premio Nobel

Se la decisione dell’Accademia Svedese di assegnare il Premio Nobel per la Letteratura al cantautore statunitense aveva generato scalpore, la scelta di Dylan di non ritirare il premio personalmente ha gettato nella bufera i discorsi riguardo alla prestigiosa onorificenza.

Mentre le motivazioni della mancata accettazione del premio restano oscure (un segno di protesta? un segno di pigrizia?), la riflessione che porta alla scelta di attribuire il premio al menestrello del folk può essere una buona occasione per capire cosa sia effettivamente lo storytelling di cui tutti parlano.

Vedere il nome di Dylan nella stessa lista insieme a personaggi del calibro di Gabriel Garcìa Màrquez, Pablo Neruda e il nostrano Luigi Pirandello, ha fatto storcere non pochi nasi. Questi nasi, sicuramente non collegati alle orecchie, non sono probabilmente riusciti ad annusare e a scovare la grandezza narrativa nascosta dietro le canzoni del cantautore di Hibbing.

Per capire il perché della scelta di Bob Dylan, bisogna capire prima come viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura: esso viene consegnato a chi ha fatto la differenza nel campo della letteratura mondiale che si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale…”. 

Certo, qui ci sarebbe da parlare per ore di cosa sia precisamente la letteratura. Il dizionario Treccani la descrive come “l’arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina”.

Un’altra interessante definizione può essere : L’insieme delle opere variamente fondate sui valori della parola e affidate alla scrittura, pertinenti a una cultura o civiltà, a un’epoca o a un genere”.

Trovare una definizione unica e precisa di letteratura, nell’accezione odierna del termine, può essere un’ardua impresa anche per lo studioso più coraggioso. Potremmo sintetizzare e dire che la letteratura è una forma di comunicazione scritta che ha l’obiettivo di trasmettere conoscenza riguardo ad una cultura o un periodo storico.

Questo ci porta dritti dritti alla spiegazione con la quale l’Accademia Svedese ha conferito il Nobel a Dylan: Il signor Bob Dylan, con le sue canzoni e le sue storie in versi, “ ha creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.

Certo, limitarsi a parlare digrande tradizione della canzone americana” è riduttivo. Bob Dylan, attraverso le sue parole e le sue opere, ha profondamente rivoluzionato l’intera tradizione musicale mondiale. Non c’è angolo della terra dove la sua armonica non risuoni, non esiste paese libero che non passi i suoi canti di protesta alla radio, non c’è musicista che non abbia provato un misto di reverenza e frustrazione nel godere dei suoi lavori (citofonare De Gregori per maggiori informazioni).

bob dylan - premio nobel

Quindi, se il Premio Nobel viene assegnato a persone che si sono distinte nei diversi campi dello scibile, apportando considerevoli benefici all’umanità, in che modo questo riguarda il cantautore statunitense?

Nei suoi tanti anni di attività, Dylan è stato tante cose: icona nella lotta per i diritti umani, punto di riferimento per i movimenti contro la guerra, feticcio del rock e figura pop spesso criticata e tacciata di presunzione. Ciò che non è cambiata nel corso dei decenni, è la capacità del neo-vincitore del Premio Nobel per la Letteratura di raccontare storie, e di raccontarle maledettamente bene.

La forza evocativa delle parole e dei versi delle sue canzoni, la cura per i dettagli e per la struttura della narrazione non hanno niente da invidiare ai migliori maestri della narrativa mondiale.

Colpi di pistola risuonano nel bar notturno
entra Patty Valentine dal ballatoio
vede il barista in una pozza di sangue
grida “Mio Dio! Li hanno uccisi tutti!”
Ecco la storia di “Hurricane”
l’uomo che le autorità incolparono
per qualcosa che non aveva mai fatto
lo misero in prigione ma un tempo egli sarebbe potuto diventare
il campione del mondo

Hurricane – Desire (1976)

 

Testi spesso enigmatici, dal forte valore evocativo, dai significati nascosti dietro un muro di parole e immagini astratte.

Einstein camuffato da Robin Hood
con i suoi ricordi in un baule
è passato di qui un’ora fa
con il suo amico, un monaco geloso
Sembrava così immacolatamente spaventoso
mentre scroccava una sigaretta
Poi se ne n’è andato via annusando i tubi di scarico dell’acqua
e recitando l’alfabeto
Non lo penseresti mai a vederlo
ma era famoso tanto tempo fa
per suonare il violino elettrico
nel vicolo della desolazione
Desolation Row – Highway 61 Revisited (1965)

Parole di denuncia contro la guerra e le ingiustizie, che con la loro forza e la loro visceralità hanno appassionato e coinvolto milioni di persone in tutto il mondo per circa 50 anni.

Voi che non avete fatto altro
se non costruire per distruggere
giocate con il mio mondo
come fosse il vostro giocattolo
mettete un fucile nella mia mano
e vi nascondete al mio sguardo
vi voltate e scappate lontano
quando volano i proiettili

Master of war – The Freewheelin (1963)

Ascoltare una canzone di Bob Dylan, leggerne il testo, non è solo una lezione di storytelling per tutti gli aspiranti scrittori e poeti. È una vera e propria lezione di umanità ed empatia, un modo per entrare in contatto diretto con la moltitudine di storie che ci circondano, che sono allo stesso tempo così diverse ma così uguali alle nostre.

Ed è per queste ragioni, in conclusione, che il Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan è un giusto riconoscimento per un poeta che ha saputo apportare considerevoli benefici all’umanità, raccontandoci storie di vita e di morte, di amori e delusioni, di gioie e dolori.

Venite scrittori e critici 
che profetizzate con le vostre penne 
e tenete gli occhi ben aperti 
l’occasione non tornerà 
e non parlate troppo presto 
perché la ruota sta ancora girando 
e non c’è nessuno che può dire 
chi sarà scelto. 
Perché il perdente adesso 
sarà il vincente di domani 
perché i tempi stanno cambiando.

Time they are a-changing – Time they are a-changing (1964)

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